condominio e normative


Spese condominiali per lavori ordinari, straordinari e straordinari urgenti. Alcune precisazioni.

 

Durante la gestione condominiale è usuale che si debbano affrontare interventi di manutenzione straordinaria.

Con questo termine intendiamo fare riferimento alla manutenzione esulante dal normale controllo delle parti e/o impianti dell'edificio e connessi alla sua conservazione in buono stato e agli interventi connessi a episodi imprevisti che compromettono la funzionalità del bene/impianto condominiale.

Quanto alla prima ipotesi si pensi all'intervento teso a sostituire la guaina di copertura del lastrico solare, ormai consunta; in relazione alla seconda facciamo riferimento alla necessità di sostituire una componente elettronica dell'impianto danneggiata.

L'intervento straordinario, quindi, è quello che non si opera sempre e che è tale in ragione di diversi fattori.

Dato questo contesto fattuale è utile individuare con chiarezza chi, quando ed in che modo può ordinare una spesa condominiali per lavori straordinari e con quali effetti verso i condòmini.

Spese per interventi straordinari

Si è soliti distinguere tra: spese per manutenzione straordinaria; spese per manutenzione straordinaria di notevole entità; spese per manutenzione straordinaria urgente.

Gli interventi di manutenzione straordinaria urgente possono essere ordinati dall'amministratore sulla base dei propri poteri, con obbligo di riferire alla prima assemblea, ex art. 1135, comma 2, c.c.

Si pensi al caso della sostituzione di un componente dell'impianto di autoclave, utile a consentire l'immediata fruizione del servizio idrico ai condòmini.

Ordinare un intervento di manutenzione straordinaria vuol dire, naturalmente, impegnare il condominio per la relativa spesa.

Ciò vuol dire che l'amministratore, sulla base di un proprio provvedimento, ex art. 1133 c.c., può domandare le quote di riferimento ai singoli condòmini, chiedendone la ratifica all’assemblea subito per la spesa, perché l'approvazione della ripartizione della medesima consente, per l'ipotesi di morosità di agire, ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c., con ricorso per decreto ingiuntivo.

Ma qualora l'assemblea disapprovasse la spesa?

L'amministratore potrebbe agire in giudizio per ottenere l'accertamento della legittimità della sua azione, ossia l'esistenza del presupposto dell'urgenza che ha legittimato l'impegno di spesa.

Per ciò che concerne la manutenzione straordinaria e straordinaria di notevole entità, si tratta di termini che, sovente, sono utilizzati in relazione a interventi edilizi. Ma non è sempre così: manutenzione “straordinaria” e  “straordinaria di notevole entità” possono riguardare, ad esempio, l'impianto di ascensore o altri impianti.

In assenza di urgenza entrambi gli interventi possono essere ordinati dall'assemblea.

Nel caso di notevole entità (economica) dell'intervento per la sua deliberazione è sempre necessario il voto favorevole della maggioranza degli interventi all'assemblea che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio.

E nel caso di spese urgenti sostenute dal singolo condomino, come si deve comportare quest’ultimo?

In relazione alle spese condominiali per lavori straordinari residua l'ipotesi dell'intervento ordinato dal singolo condomino, il quale in caso di urgenza del medesimo può domandare il rimborso della spesa ai sensi dell'art. 1134 c.c.

L'urgenza, così come definita dalla giurisprudenza (medesimo significato le si deve attribuire nel caso di intervento urgente ordinato dall'amministratore), è quella situazione che richiede immediato intervento per evitare pericoli o danni. Il caso dell'autoclave resta paradigmatico.

Certo, in caso di condominio con amministratore si può avvertire quest'ultimo affinché sia lui a compiere l'atto gestorio.

Possiamo convenire che la fattispecie di cui all'art. 1134 c.c. ha preminente valore nel caso di condominii senza amministratore.

Fonte: con contributi estratti da condominioweb

Avete deciso di cimentarvi in cucina? Non aprite la finestra per ventilarla perché l'odore del sugo e del fritto, se disturbano il vicino di casa, possono essere un reato!

 

Lo ha precisato la Cassazione, con la sentenza n. 14467/2017 depositata il 24 marzo scorso dichiarando colpevoli del reato ex art. 674 c.p. i proprietari di un appartamento in condominio.

Per la Cassazione, anche gli odori da cucina che superano la normale soglia della tollerabilità integrano la fattispecie di getto pericolose di cose, ex art. 674 c.p.

A nulla sono valse le doglianze degli imputati circa la non estensibilità analogica dell'art. 674 c.p. alle emissioni di odori, che per la dottrina maggioritaria devono essere tali da "offendere, imbrattare o molestare le persone e che siano vietate dalla legge", mentre nella fattispecie si trattava di "emissioni di odori di cucina che, per loro natura, non erano atte ad offendere, imbrattare o molestare le persone e che certamente non erano vietate dalla legge".

Per gli Ermellini, infatti, correttamente la Corte d'Appello ha escluso la possibilità di pronunciare l'assoluzione per insussistenza del fatto, dichiarando invece la prescrizione, perché, "non solo ha ritenuto correttamente sussunta la fattispecie concreta sotto la previsione dell'art. 674 c.p. che comprende anche le emissioni olfattive moleste, ma ha anche valutato in modo congruo la prova dei fatti raggiunta in primo grado attraverso le testimonianze delle persone offese, definite come chiare, precise, logicamente strutturate, ribadite in sede dibattimentale senza alcuna contraddizione ed esposte senza inutili enfatizzazioni".

Il fatto che tra le parti vi fossero contrasti di vicinato inoltre non poteva di per sé infirmare la complessiva attendibilità dei vicini offesi i quali avevano dichiarato che quando gli imputati cucinavano, "oltre ai rumori molesti dell'estrattore, il loro appartamento si impregnava dell'odore di sugo e fritti, sembrando di avere la loro cucina in casa!

Come precisato più volte dalla giurisprudenza, sentenzia la Suprema Corte, la contravvenzione prevista dall'art. 674 c.p. "è configurabile anche nel caso di 'molestie olfattive' a prescindere dal soggetto emittente con la specificazione che quando non esiste una predeterminazione normativa dei limiti delle emissioni, si deve avere riguardo, al criterio della normale tollerabilità di cui all'art. 844 c.c.". Criterio, pertanto, superato nel caso di specie.

Fonte: con contributi estratti da studio Cataldi

Condominio parziale. Che cos'è e quali sono le sue implicazioni nella suddivisione delle spese di conservazione e per quelle straordinarie.

 

"Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità”

Questo capoverso è stata dettato con specifico riferimento ai criteri di ripartizione delle spese ma la dottrina e la giurisprudenza sono andate oltre il mero aspetto economico finendo per dare vita ad una specifica e particolare forma di condominio c.d. condominio parziale.

Per comprendere la sottilissima linea di demarcazione fra le due tipologie, pensiamo a quei casi, molto ricorrenti nella pratica, di edifici composti da un unico corpo di fabbrica, ma aventi più portoni e di conseguenza, più scale, più ascensori e magari anche più impianti di riscaldamento ecc., 

La norma, contenuta nel terzo comma dell’art. 1123 c.c., afferma che ogni condomino paga le spese solamente in relazione ai beni dei quali usufruisce.

Quindi, ad esempio, se Caio possiede un’unità immobiliare ubicata nella scala “A” a lui spetterà l’onere di contribuire alle spese ordinarie e/o straordinarie per l’ascensore, per la luce, ecc., solo con riferimento alla scala che abita. Nulla sarà dovuto rispetto alle medesime spese che riguardano la scala “B”. Ciò vale, naturalmente, anche per coloro che abitano le altre scale.

Alla luce di quanto detto la questione, però, non si ferma solamente alle, importanti, vicende riguardanti le spese condominiali. In sostanza ci si è domandati: “ la proprietà dei beni esistenti in una scala” è di tutti quanti i comproprietari oppure, ogni condomino è tale esclusivamente rispetto alle parti comuni da cui trae utilità?

Al quesito si ha dato risposta la dottrina giurisprudenziale, affermando che ogni condomino paga le spese per quei beni da cui trae utilità e che di tali beni è anche il proprietario. In questo modo tutti gli altri sono esclusi dalla proprietà delle parti che non gli servono.

Dello stesso parere e' la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione secondo la quale “ l'esistenza del condominio parziale è ritenuta possibile sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza (cfr. Cass. 27.2.1995 n. 7885; 2.2.1995 n. 1255; 29.10.1992 n. 11775; Sez. Un. 7.7.1993 n. 7449), allorché all'interno del cd. condominio allargato talune cose - qualificate come comuni, ex art. 1117 c.c. - siano per oggettivi caratteri materiali e funzionali necessarie per l'esistenza o per l'uso, ovvero siano destinate all'uso o al servizio non di tutto l'edificio ma di una sola parte o di alcune unità abitative di esso” (così Cass. 12.02.2001 n. 1959).

Un’altra pronuncia il Supremo Collegio afferma che“ numerose ed evidenti sono le conseguenze operative del condominio parziale.

Infatti, alla differente attribuzione della titolarità, si riconducono implicazioni considerevoli per quanto attiene alla gestione ed imputazione delle spese.

Relativamente alle cose, ai vizi ed agli impianti, dei quali non hanno la titolarità, per i partecipanti al gruppo non si pongono questioni di gestione e di obblighi di contribuzione alle spese.

In particolare, non sussiste il diritto di partecipare all'assemblea, ragion per cui la composizione del collegio e delle maggioranze si modificano in relazione alla titolarità delle parti comuni, che della delibera formano oggetto e non sorge l'obbligazione di contribuire alle spese” (Cass. 27 settembre 1994 n. 7885).

Da queste considerazioni è possibile definire il condominio parziale come: quel genere di condominio in cui affianco a beni che sono comuni tra tutti i comproprietari delle singole unità immobiliari, ve ne sono degli altri che, per la particolare conformazione dello stabile, devono essere considerati solo di alcuni, e pertanto solo questi sono tenuti al pagamento dei costi di manutenzone ordinaria (o di conservazione), e straordinaria.

Fonte: con contributi estratti da condominioweb

La certificazione dell'impianto elettrico condominiale. Un requisito importante e spesso trascurato dai condòmini.

 

Gli impianti elettrici, dice l'art. 1117 n. 3 c.c., sono comuni “fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza”.

Come ogni impianto individuato nel D.M. 37/08 anche quello elettrico condominiale deve possedere determinati requisiti e specifiche tecniche risultanti dalle certificazioni rilasciate dal tecnico abilitato che lo ha realizzato.

Spieghiamo meglio la questione.

Supponiamo che l'impianto elettrico condominiale sia molto datato, sprovvisto di alcuna certificazione e che l'assemblea decida di rifarlo completamente. L'intervento dovrà essere considerato un'opera di manutenzione straordinaria che si sostanzierebbe in un rifacimento ex novo o comunque in qualcosa di molto simile.

Questi lavori, secondo il D.M. 37/08, dovranno essere eseguiti da imprese abilitate ed iscritte in specifici registri tenuti dalle camera di commercio e dovranni essere eseguiti sulla scorta di un progetto realizzato da un tecnico competente avente i requisiti richiesti dal suddetto decreto.

Detti lavori dunque devono essere considerati alla stregua di interventi conservativi delle parti comuni sicché la spesa per la loro realizzazione dev'essere sostenuta da tutti i condomini sulla base dei millesimi di proprietà, restando salva l'ipotesi di condominio parziale, rispetto alla quale sarebbero chiamati a contribuire solamente i proprietari dell'impianto (cfr. art. 1123, primo e terzo comma, c.c.).

Al termine dei lavori, ex art. 7 comma 1 D.M. 37/08, “previa effettuazione delle verifiche previste dalla normativa vigente, comprese quelle di funzionalità dell'impianto, l'impresa installatrice rilascia al committente la dichiarazione di conformità degli impianti realizzati nel rispetto delle norme di cui all'articolo 6. All'interno della dichiarazione, resa sulla base del modello di cui all'allegato I del decreto, fanno parte integrante la relazione contenente la tipologia dei materiali impiegati, nonché il progetto di cui all'articolo 5”.

A tal uopo, il rilascio della certificazione non può essere subordinato al pagamento dell'opera. Essa, infatti, non rientra nel novero delle prestazioni corrispettive che possono essere rifiutate nel caso d'inadempimento della controparte risultando un adempimento burocratico finalizzato alla certificazione della regolarità dell'opera già eseguita.

Pertanto, che cosa succede se l'impianto condominiale è sostanzialmente conforme alle regole dell'arte ma manca dell'obbligatoria certificazione di conformità? In tal caso (ci viene sempre in aiuto l'art. 7, comma 6 D.M. 37/08) qualora la dichiarazione di conformità non sia stata prodotta o non sia più reperibile “tale atto e' sostituito - per gli impianti eseguiti prima dell'entrata in vigore del presente decreto - da una dichiarazione di rispondenza, resa da un professionista iscritto all'albo professionale per le specifiche competenze tecniche richieste, che ha esercitato la professione, per almeno cinque anni, nel settore impiantistico a cui si riferisce la dichiarazione, sotto personale responsabilita', in esito a sopralluogo ed accertamenti, ovvero, per gli impianti non ricadenti nel campo di applicazione dell'articolo 5, comma 2, da un soggetto che ricopre, da almeno 5 anni, il ruolo di responsabile tecnico di un'impresa abilitata di cui all'articolo 3, operante nel settore impiantistico a cui si riferisce la dichiarazione”.

Il costo della dichiarazione di rispondenza dev essere posta a carico dei condòmini, salvo il caso in cui la stessa si rendesse necessaria per mancata produzione da parte dell'impresa.

In tal caso però, previa anticipazione verso il professionista, il condominio potrebbe rivalersi sulla ditta esecutrice dei lavori.

Si ricorda, inoltre, che l'ottenimento di una dichiarazione di rispondenza successiva ad un controllo non estingue l'illecito e la sanzione.

Il condominio deve, perciò, provvedere ad ottenere le certificazioni degli impianti di cui al D.M. 37/08, in quanto obbligatorie per legge e necessarie anche per la corretta tenuta dell'anagrafe condominiale.

Fonte: con cotributi estratti da condominioweb

Chi risponde della caduta dei vasi dal balcone? Si può invocare l'evento imprevisto e/o imprevedibile? Quando è possibile e in quali casi.

 

Questa domanda ricorre spesso dopo ogni fatto di cronaca. 

La risposta è probabilmente scontata: ne risponde il proprietario dei vasi e delle fioriere o chi ne ha la custodia (es. Il conduttore che abita una casa già ammobiliata).

Questi due potenziali soggetti rispondono dei danni causati dalla caduta di un vaso su di una macchina parcheggiata nell'area sottostante a meno che l'evento dannoso non sia dovuto ad un evento imprevisto e/o imprevedibile dal proprietario del vaso (e aggiungerei anche non voluto).

A tal uopo, se un fulmine colpice un balcone (caso certamente difficile, ma non impossibile), e causa la caduta di vasi, fioriere, ma anche di altri elementi di arredo comunque posti o ancorati al parapetto del balcone o su di esso poggiati, del danno non né puo' rispondere il proprietario, perché costituisce un evento eccezionale.

Per quanto riguarda il Comune di Roma, è significativo l'art. 27 del regolamento di polizia urbana di Roma Capitale, rubricato: "oggetti mobili sulle finestre e sui balconi". Esso così recita: "È vietato tenere sui davanzali delle finestre, sui parapetti dei balconi, sui cornicioni e su altre sporgenze prospicienti strade, piazze, cortili ed altri spazi di transito vasi di fiori ed altri oggetti mobili non convenientemente assicurati".

Sorge dunque una domanda: se il fulmine, colpendo un balcone o un davanzale, causa la caduta di una vaso o di una fioriera non assicurati saldamente all'elemento strutturale dello stabile, il proprietario può sempre invocare a sua discolpa l'evento imprevisto e/o imprevedibile?

Azzardiamo una risposta. Se insieme al vaso o alla fioriera cade anche l'elemento che avrebbe dovuto trattenerlo, il soggetto non avrà colpa. Se, invece, l'evento fulmine (ma potremo parlare anche di una scossa di terremoto), causa la caduta del vaso o fioriera (che sarebbero rimasti assicurati loro posto se ancorati), allora la responsabilità civile sarà sicuramente addebitabile, per aver causato un fatto pericoloso ed evitabile dal soggetto che non abbia preso i giusti accorgimenti.

Fonte: studio Sbarra

Il Condominio rischia la rovina e i condomini sono dormienti. Chi risponde dell’eventuale crollo?

 

La negligenza di alcuni condòmini inguaia tutti i condomini.

Ma cosa accade quando l'edificio "che minaccia rovina" sia una parte, più o meno estesa, di una struttura condominiale? La responsabilità penale sarà ascrivibile all'inerte amministratore o ai singoli condomini interessati dalle strutture pericolanti?

Purtroppo l'inerzia del condominio inguaia i singoli condomini, che saranno ritenuti responsabili del reato di cui all'art. 677 cod. pen. tutte le volte in cui il condominio non si sarà attivato per eliminare la situazione di pericolo.

Applicando tale principio la Cassazione, con la sentenza n. 14465 del 27/03/2014, ha quindi confermato la responsabilità di alcuni proprietari di un immobile condominiale pericolante, i quali erano stati appunto condannati anche in appello per il reato in parola: per i giudici, infatti, essi non avevano provveduto "ai lavori necessari per rimuovere il pericolo per le persone derivante dallo stato di degrado dell'immobile".

A nulla sono valsi l'appello ed il ricorso per cassazione dei condomini che avevano contestato l'eccessiva onerosità dei lavori (per cui sarebbe stato possibile effettuarli solo ripartendone la spesa tra tutti i condomini) e soprattutto avevano documentato e provato di aver più volte diffidato il condominio ad intervenire: per la Cassazione non è sufficiente intimare e diffidare ma occorre fare di più.

I solleciti, pur formali, non bastano: occorre obbligare il condominio ad intervenire. La responsabilità dei proprietari-condomini discende dal loro non essersi attivati per eliminare il pericolo, non essendo a ciò sufficiente inviare lettere di diffida al condominio ma restare poi inerti se questo non si attiva per rimuovere la situazione di pericolo: ricorda infatti la Cassazione che "nel caso di mancata formazione della volontà assembleare che consenta all'amministratore di adoperarsi, sussiste a carico del singolo condomino l'obbligo giuridico di rimuovere la situazione pericolosa, indipendentemente dall'attribuibilità al medesimo dell'origine della stessa.", richiamando una massima sancita per un caso identico nel 2008 (sent. n. 6596 del 17/01/2008), a sua volta confermativa di un più risalente orientamento giurisprudenziale (Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 15759 del 06/02/2001).

Fonte: con contributi estratti da condominioweb

Sicurezza degli edifici condominiali. In arrivo un nuovo onere per gli amministratori di condominio: l'istituzione del Registro Anagrafe Sicurezza (RAS).

 

L’obbiettivo del decreto legge Destinazione Italia, che  nei prossimi giorni sarà all'esame delle commissioni Finanze e Industria, è quello inserire il registro anagrafe sicurezza (RAS) all’interno del  Registro di anagrafe condominiale previsto dall’art. 1130 c.c.

Il nuovo registro conterrà i dati che emergeranno dalla procedura di individuazione dei pericoli e di analisi dei rischi potenziali collegati, e sarà un documento che, fornendo evidenza dello stato tecnico delle parti comuni condominiali, consentirà all’amministratore di assolvere agli obblighi assegnati dal legislatore.

L'obbiettivo del RAS evidenzierà la rispondenza del condominio ai requisiti di ordine documentale e organizzativo richiesti sia nelle aree comuni che, in caso di presenza di lavoratori subordinati (es.: portiere), nei relativi luoghi di lavoro e, una volta individuati eventuali rischi, consentirà di programmare interventi e procedure finalizzati all'eliminazione o al contenimento degli stessi.

        A)     Attenzione ai piccoli segnali di degrado della struttura.

Affinché il RAS possa rispondere ai requisiti di legge, dovrà contenere, quanto meno, a titolo esemplificativo, la seguente documentazione:

1.      “Dichiarazione di conformità degli impianti condominiali (elettrico citofonico, televisivo (se centralizzato), elettronico (videosorveglianza, sistema di anti-intrusione), idrico, antincendio (se presente), sanitario (allacciamento alla fogna), adduzione GAS (parte condominiale), riscaldamento e climatizzazione (se centralizzato), protezione dalle scariche atmosferiche (se presente);

2.      Documentazione degli impianti sotto pressione (riscaldamento centralizzato, autoclave); Dichiarazione CE ai sensi della direttiva macchine relativa al cancello automatizzato;

3.      Certificazione Vigili del Fuoco (se prevista), CPI (Certificato Prevenzione Incendi), rinnovo CPI, eventuale SCIA;

4.      Certificato di conformità edilizia e agibilità;

5.      Libretto ascensore attestante il relativo collaudo con indicazione del numero di matricola.

Documenti relativi all’impianto elevatore disabili e Documentazione attestante le verifiche periodiche dell'impianto ascensore; 

6.      Documentazione di carattere chimico, fisico e batteriologico (in caso di presenza di serbatoio, cisterna o tubazione comune per l'adduzione dell'acqua potabile e gli impianti di riscaldamento centralizzati e di climatizzazione centralizzati);

7.      In caso di presenza di giardino con altalene o altri giochi per bambini, assicurarsi che i prodotti installati siano marcati CE;

8.      In caso di presenza di lavoratori subordinati (esempio: il portiere) provvedere alla documentazione e agli adempimenti previsti dal D.Lgs. 81/08;

9.      Documentazione relativa a eventuali interventi per la valutazione o la rimozione di amianto e, nonché della documentazione relativa ad eventuali interventi di manutenzione straordinaria eseguiti dal condominio e soggetti al coordinamento per la sicurezza”.

Comunque, la documentazione elencata non è esaustiva, in quanto in un condominio possono essere presenti macchine, impianti o problemi strutturali, che in tale schema non sono menzionati.

L'amministratore deve garantire la sicurezza dell'edificio, quindi, al fine di produrre un registro anagrafe della sicurezza adeguato all'esigenze del condominio, è consigliabile la consulenza di un tecnico abilitato (quale ad esempio un ingegnere).

Ovviamente, non sono pochi i contrasti sull'obbligatorietà del fascicolo fabbricato, per motivi e aspetti tecnici e/o amministrative, e che alcune associazioni hanno evidenziato come il lavoro che sta disegnando il decreto di attuazione del “sisma bonus” deve essere in stretta correlazione con il fascicolo fabbricato.

Secondo le associazioni, infatti, per rendere obbligatorio il fascicolo fabbricato, occorre digitalizzare gli archivi dei catasti, per facilitare il lavoro dei professionisti. Poi, bisogna raccogliere le certificazioni energetiche già realizzate.

Questo primo pacchetto di elementi già disponibili potrà essere integrato con le diagnosi sismiche redatte in attuazione del decreto sul sisma bonus.

A questo punto si potrebbe facilmente arrivare a un fascicolo di fabbricato elettronico obbligatorio: una fotografia storico-strutturale dell'immobile, che tenga conto della ramosità a anche della differenziazione tra edifici storici ed edifici moderni. Un documento redatto da professionisti e suddiviso in: una parte generale sul singolo immobile e in una parte specifica sulle singole unità abitative.

        B)     Prevenzione rischio sismico.

Il nuovo certificato di idoneità statica. Lo scorso novembre il Comune di Milano ha approvato le linee guida per la verifica dell'idoneità statica delle costruzioni presenti sul territorio comunale.

È stato così introdotto per la prima volta in Italia l'obbligo di collaudo statico per gli edifici più vecchi pena l'inagibilità della struttura.

Con l''articolo 11.6 del documento entrato in vigore il 26.11.2014, infatti, il Comune di Milano, primo in Italia, ha introdotto elementi innovativi riguardo l'obbligo di manutenzione degli edifici.

In particolare, stabilisce che tutti quelli ultimati da più di 50 anni (o che raggiungeranno i 50 anni nei prossimi tre anni) non in possesso di certificato di collaudo dovranno essere sottoposti a verifica e rilascio del CIS entro il 2019.

La stessa cosa dovranno fare, entro il 2024, i fabbricati collaudati da più di 50 anni (o che avranno raggiunto i 50 anni entro tale scadenza). Le linee guida definiscono due livelli di indagine.

Il primo si basa su un'analisi qualitativa del fabbricato e in caso risulti esaustiva e non evidenzi aspetti critici per la sicurezza può dare luogo all'emissione del CIS. Le verifiche di primo livello sono basate sia su ispezioni visive che su valutazioni della storia e del contesto in cui l'edificio è posto.

Queste hanno come fine l'esame delle seguenti criticità: segnali di sofferenza, interventi di modifica dell'organismo strutturale, presenza di pericolo esterno e presenza di elementi accessori al rischio.

Quanto al secondo livello, da effettuare solo nel caso in cui il primo non sia risultato esauriente, si basa su indagini sperimentali e o analitiche che consentano, ove necessario, di definire opportune opere di rinforzo.

Si rende quindi necessario effettuare la valutazione della sicurezza per la struttura secondo le disposizioni della norma vigente (capitolo 8 delle Norme Tecniche per le Costruzioni). Se l'edificio passa positivamente il secondo livello d'indagine si ha il rilascio del CIS che ha una validità massima di 15 anni.

Fonte: con contributi estratti da condominioweb

Vademecum sugli adempimenti fiscali degli amministratori di condominio dopo la Legge di stabilità 2017.

 

1- LE COMUNICAZIONI DEI DATI DETRAIBILI.

La scadenza è fissata per il prossimo 28 febbraio 2017, è il primo obbligo previsto per le dichiarazioni precompilate 2017 (sia 730 che Unico) gli amministratori di condominio comunichino i dati dei singoli condomìni che hanno sostenuto spese edilizie detraibili entro il 28 febbraio 2017.

Per meglio dire, le nuove istruzioni per l'invio di alcune informazioni utili alla gestione degli oneri detraibili nelle dichiarazioni precompilate 2017 sono state predisposte dal decreto del 1° dicembre scorso del Mef e pubblicate sulla «Gazzetta Ufficiale» n.296.

In pratica le nuove comunicazioni riguardano: i dati relativi alle spese sostenute nell'anno precedente dal condominio con riferimento agli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica effettuati sulle parti comuni di edifici residenziali, nonché con riferimento all'acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici finalizzati all'arredo delle parti comuni dell'immobile oggetto di ristrutturazione. Nella comunicazione devono essere indicate le quote di spesa imputate ai singoli condomini.

2- LE RITENUTE SUI CORRISPETTIVI DOVUTI DAL CONDOMINIO.

La scadenza è fissata per il 30 giugno e per il 20 dicembre di ogni anno.

La Legge di Bilancio 2017 (art. 1, comma 36 L. 232/2016) ha previsto che il condominio- in qualità di sostituto d'imposta- è tenuto al versamento della ritenuta del 4% a titolo di acconto sui corrispettivi dovuti per prestazioni relative a contratti di appalto di opere o servizi, solo al raggiungimento di una soglia minima della ritenuta pari a 500 euro. Significa che:

Qualora si raggiunga questa soglia l'importo andrà versato nei tempi e nei modi attualmente in vigore, ossia entro il 16 del mese successivo a quello in cui avviene il pagamento della fattura;

Nel caso in cui tale importo-soglia non venga raggiunto, il versamento dovrà essere eseguito entro il 30 giugno ed entro il 20 dicembre.

3- TRACCIABILITÀ DEI PAGAMENTI.

Inoltre è stato previsto che il pagamento dei corrispettivi dovuti per prestazioni relative a contratti di appalto resi a condomini, deve essere eseguito con modalità tracciabili.

In buona sostanza, viene vietato l'uso dei soldi contanti; al loro posto bisognerà usare solo bonifici o assegni non trasferibili.

A cadere nell'ambito della nuova previsione sono tutti i pagamenti effettuati per liquidare i corrispettivi per prestazioni relative a contratti di appalto di opere o servizi.

L'inosservanza di tale obbligo è punita con la sanzione amministrativa da 250 a 2.000 Euro, prevista dall'art. 11, comma 1, del D. Lgs. 471/1997.

Fonte: con contributi estratti da condominioweb

Il restauro dei balconi e dei frontalini e l'annoso dilemma della ripartizione delle spese fra i condomini.

 

I balconi e i frontalini rappresentano quelle parti dell’edificio su cui si sollevano i dubbi interpretativi maggiori circa la disciplina da applicare e la loro ripartizione delle spese per gli interventi manutentivi. 

Quando l’assemblea è chiamata a deliberare i lavori di intervento manutentivo della facciata del condominio, i primi dissidi fra i condomini nascono proprio circa l’addebito della spesa riguardante il rifacimento dei balconi, e in particolare i frontalini.

Proprio tali dissidi fanno si che si inneschino inevitabilmente dei casi di contenzioso giudiziario che sarebbero facilmente evitabili se i condòmini adoperassero un po’ di buon senso.

È inevitabilmente evidente che le questioni sottese al riguardo non trovano una pacifica soluzione, nonostante le numerose pronunce giurisprudenziali.

D'altronde le incertezze nascono proprio in considerazione della struttura che compone i balconi e dalla sua funzione

La soluzione offerta dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalente consiste in un’analisi specifica del singolo caso concreto alla luce della quale si stabilisca se le opere da eseguire riguardino parti costituenti proiezione della proprietà individuale, ovvero elementi che, per la loro attinenza alla facciata, debbano essere considerati parti comuni dell’edificio, a norma degli artt. 1117 C.C. e ss., ovvero, semplicemente, parti d’interesse comune. Nella prima fattispecie rientrano tutte le opere dirette a preservare e consentire l’utilizzo della superficie praticabile del balcone; nella seconda categoria sono ricomprese tutte le iniziative concernenti elementi del balcone che hanno inerenza con la facciata e, assieme a questa, conferiscono allo stabile – attraverso l’armonia e l'unità delle linee e dello stile – quel decoro architettonico che costituisce il bene comune.

In considerazione della sua struttura, il balcone costituisce un elemento accidentale del fabbricato in quanto non svolge funzione portante. Esso rappresenta una pertinenza, ovvero una proiezione della proprietà del singolo condòmino verso l’esterno dell’appartamento di proprietà esclusiva di quest'ultimo, e non può, pertanto, essere destinato all’uso comune, essendo finalizzato al solo godimento da parte del suddetto.

Per gli stessi motivi, il proprietario del pavimento, c.d. entradosso, che è proprietario anche del sottobalcone, c.d. estradosso, e perciò della intera soletta a sbalzo, sostiene la totale spesa per la manutenzione della pavimentazione, dello stangone e del sottobalcone.

Stesso discorso vale anche per i cosiddetti balconi aggettanti dell’edificio condominiale, come confermato dalla recente sentenza della Suprema Corte, che si è riportata all’orientamento dominante e ormai consolidato in materia (cfr. Cass. Civ. Sez. II, 19/05/2015, n. 10209).

La situazione è diversa, se il balcone presenta elementi accessori e decorativi che conferiscono allo stabile, attraverso l’armonia e l’unità di linee e di stile, quel decoro architettonico che costituisce un'interesse comune dell’edificio. In questo caso, si ritiene che, per i soli elementi decorativi (si pensi ai fregi decorativi di certi palazzi storici), le spese devono essere ripartite fra tutti i condòmini proprio perché tali elementi, costituendo una parte integrante della facciata, rientrano nel novero dei beni comuni; di conseguenza la loro manutenzione interessa l'intera collettività dei condomini.

Altra questione dibattuta riguarda la ripartizione delle spese relative ai c.d. frontalini, ovvero, la parte frontale, e in alcuni casi anche verticale, della soletta dei balconi.

Anche in merito ad essi, i condòmini si lasciano spesso andare a disquisizioni giurisprudenziali senza fondamento, ritenendo di stare nel giusto e richiedendo l’addebito dei costi manutentivi all’intero condominio. Ma così non è, e non potrà mai essere, per i seguenti motivi.

La giurisprudenza sostiene in maniera precisa e puntuale che gli elementi decorativi che caratterizzano i frontalini, e solo questi, “si debbono considerare beni comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole” (così Cass. 30 luglio 2004 n. 14576).

Si sottolinea che la sentenza parla di elementi decorativi (c.d. stucchi) posti sul frontalino e non del frontalino come elemento strutturale. Per tale ragione, solo i primi e non il secondo è di proprietà comune, salvo che per le connotazioni strutturali non sia possibile operare questa differenza (si pensi ai balconi di alcuni palazzi romani, che per la loro connotazione e il loro stile non possono che essere considerati, nella loro interezza, elementi della facciata dello stabile, dovendoli necessariamente considerarli comuni.

Pertanto, si conviene che, ai sensi dell’art. 1123 C.C., comma 1, le spese di conservazione delle cose comuni devono essere ripartite tra tutti i condomini sulla base dei loro millesimi di proprietà, per i suddetti motivi, potendo concludere che le spese per la manutenzione dei frontalini, che inserendosi nel prospetto dell’edificio, ne connotano il decoro rendendone il suo aspetto esteticamente gradevole, devono necessariamente essere ripartite tra tutti i condomini sulla base dei millesimi di proprietà. Viceversa, se il frontalino non possiede i suddetti elementi decorativi, la spesa per gli interventi strutturali sarà imputata al singolo condòmino proprietario del balcone.

Fonte: studio Sbarra

Legge di stabilità 2017. Una piccola rivoluzione per il Condominio.

 

L'approvazione della Legge di stabilità del 2017, avvenuta il 7 dicembre 2016, ha introdotto una piccola rivoluzione per il Condominio, riguardanti le ritenute effettuate dai condomini, e che trova applicazione dal 1 gennaio 2017. 

È stata, infatti, modificata la norma che disciplina il versamento della ritenuta del 4% sui corrispettivi pagati dai condomini per prestazioni relative a contratti di appalto, di opera o di servizi eseguiti nell'esercizio di impresa o di attività commerciali non abituali. La legge di stabilità 2017 ha previsto che il versamento vada effettuato solo al raggiungimento della soglia minima di € 500 di ritenuta, il che significa che qualora si raggiunga questa soglia l'importo andrà versato nei tempi e nei modi attualmente in vigore, ossia entro il 16 del mese successivo a quello in cui avviene il pagamento della fattura.

Nel caso in cui tale importo-soglia non venga raggiunto, il versamento dovrà essere eseguito entro il 30 giugno ed entro il 20 dicembre. Ciò sta a significare che l'assoggettamento a ritenuta permane, così come resta l'obbligo di versamento della stessa. Cambiano solo i modi e le tempistiche. Sebbene sia lecito ipotizzare che tale mutamento della disciplina sia stato adottato al solo fine di agevolare e semplificare gli adempimenti condominiali, si rischia di incorrere in situazioni in cui si possa ritenere che il mancato raggiungimento dell'importo soglia, implichi la non necessità ovvero il mancato obbligo di versare la ritenuta dovuta.

Al fine di chiarire il funzionamento delle modifiche apportate in ambito condominiale, a titolo esemplificativo, si ricorda che il Condominio, nella sua qualità di sostituto di imposta continua ad assoggettare e soprattutto a versare la ritenuta d'acconto sulle prestazioni ricevute. Solo che dovrà pagare entro il 30 giugno ovvero entro il 20 dicembre se l'importo della ritenuta è inferiore ad Euro 500, mentre entro il 16 del mese successivo a quello in cui avviene il pagamento della fattura, qualora sia raggiunta la somma di Euro 500.

Fonte: con contributi estratti da Leccenews24

Accensione degli impianti di riscaldamento a Roma per la gestione invernale 2016.

 

Il D.P.R. 74/2013 (16 aprile 2013, n.74 pubblicato in G.U. serie Generale n.149 del 27-6-2013) ha ridefinito il regolamento recante la definizione dei criteri generali in materia di esercizio, conduzione, controllo, manutenzione e ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed estiva degli edifici e per la preparazione dell'acqua calda per usi igienici sanitari. Il testo del Decreto è consultabile sul sito della Gazzetta Ufficiale.

L'art. 4 del Decreto definisce i limiti di esercizio degli impianti termici e ne determina le eccezioni.

Roma è inserita nella fascia climatica D. La durata di accensione degli impianti termici non deve superare a Roma, le 12 ore giornaliere nell'arco di tempo che va dalle ore 5.00 alle ore 23.00, nel periodo dal 1 novembre al 15 aprile.

Eccezioni: 

Possono derogare a tale norma, limitatamente alla sola durata giornaliera di attivazione (per Roma 12 ore) tra gli altri, gli impianti termici al  servizio di  più unità immobiliari residenziali nei quali sia installato e funzionante, in ogni singola unità immobiliare, un sistema di contabilizzazione del calore e un sistema di termoregolazione della  temperatura ambiente dell'unita' immobiliare stessa dotato di un programmatore che consenta la regolazione almeno su due livelli di detta temperatura nell'arco delle 24 ore (Art. 6 lettera f)

In presenza di particolari condizioni climatiche, gli impianti termici possono essere attivati al di fuori dei periodi di accensione, ma con una durata giornaliera non superiore alla metà di quella normalmente consentita, e che a Roma è di 6 ore. Per le stesse situazioni climatiche eccezionali, i sindaci, con propria ordinanza, possono ampliare i periodi di accensione e la durata di attivazione degli impianti.

Zona climatica, periodo di accensione e orario consentito:

A 1° dicembre - 15 marzo 6 ore giornaliere;

B 1° dicembre - 31 marzo 8 ore giornaliere;

C 15 novembre - 31 marzo 10 ore giornaliere;

D 1° novembre - 15 aprile 12 ore giornaliere;

E 15 ottobre - 15 aprile 14 ore giornaliere;

F nessuna limitazione nessuna limitazione.

Fonte: studio Sbarra

Riscaldamento centralizzato in condominio: contabilizzazione, termoregolazione e distacco.

 

Linee guida del CSP Roma sull'applicazione della normativa in tema di contabilizzazione, termoregolazione e distacchi

All’approssimarsi di ogni nuova stagione invernale iniziano i problemi connessi al riscaldamento. Quest’anno, dopo l’entrata in vigore del Dlgsl 102/14 e quindi della norma UNI 10200 le cose – se possibile – sono ancora più complicate.

Individuiamo delle linee guida per gli Amministratori che debbono operare all’interno di in quadro normativo  quanto meno di difficile interpretazione.

LE NOVITA’ DEL DLGSL 102/14

Il Decreto legislativo 102 del luglio 2014, recependo le Direttive europee volte al contenimento del consumo energetico e alla emissione dei  gas serra (e per questo non prorogabile, come invece spesso si sente auspicare con approccio troppo italian style), ha introdotto all’art. 9 l’obbligo di realizzare entro il 31/12/2016 su tutto il territorio nazionale la termoregolazione e la contabilizzazione del calore prelevato dal singolo utente finale (condòmino), imponendo anche l’adozione di specifici criteri per la ripartizione delle spese, a valere dall’entrata in vigore del decreto (luglio 2014) anche per gli impianti in cui la contabilizzazione era stata già installata.

Sono previste sanzioni da 500.00 a 2500.00 euro per chi non ottemperi alla installazione nei termini previsti e anche per chi non adotti i criteri imposti per la ripartizione delle spese.

La contabilizzazione del calore al singolo appartamento può essere fatta in due modi: attraverso l’applicazione di contatori a lettura diretta (negli impianti cosiddetti ad anello o a zone); o - dove ciò non sia possibile o risulti non efficiente sotto un profilo economico (impossibilità  attestata con relazione tecnica del progettista o del tecnico abilitato) - mediante applicazione di  ripartitori su ciascun corpo scaldante (contabilizzazione indiretta, negli impianti cosiddetti a colonna).

Una condizione esimente all’obbligo di installare la contabilizzazione anche in questa seconda modalità è contenuta nella lettera c) dell’art. 9 ove si dice testualmente che l’obbligo sussiste “salvo che l'installazione di tali sistemi risulti essere non efficiente in termini di costi con riferimento alla metodologia indicata nella norma UNI EN 15459. In tali casi sono presi in considerazione metodi alternativi efficienti in termini di costi per la misurazione del consumo di calore”. “Eventuali casi di impossibilità tecnica alla installazione dei suddetti sistemi di contabilizzazione devono essere riportati in apposita relazione tecnica del progettista o del tecnico abilitato”, sulla base di quanto indicato all’art. 16 punto 7 in tema di SANZIONI.

Da ciò ne deriva che – in ogni caso – il PROGETTISTA o TECNICO abilitato deve intervenire per affermare l’eventuale impossibilità di applicazione dei contatori o ripartitori e quindi suggerire le soluzioni tecniche che costituiscano “metodi alternativi efficienti in termini di costi per la misurazione del consumo di calore individuale”.

Lo scopo infatti della normativa dichiarato all’art. 1 è quello di rendere il consumo volontario attribuibile direttamente a ciascun utente così da indurlo a risparmiare individualmente – con ovvie ripercussioni sul consumo e sul risparmio collettivo.

In altre parole: attraverso la misurazione del calore volontario i cui costi sono addebitati direttamente al singolo si induce un circolo virtuoso tale per cui il singolo è portato a risparmiare (o razionalizzando i consumi con l’utilizzo della termoregolazione che efficienta il consumo garantendo il confort necessario, oppure con l’adozione di NUOVI sistemi di protezione dell’involucro disperdente - quali cappotti termici, sostituzione di infissi, ecc.) e la somma dei risparmi dei singoli costituisce il risparmio collettivo.

Lo scopo della norma è dunque responsabilizzare (addebitandogliene direttamente i costi) l’utente del servizio. Tali costi devono essere quantificati con sistemi di calcolo del consumo quanto più precisi possibile, individuati normativamente nella contabilizzazione (diretta o indiretta, e – ove questa non fosse possibile – in sistemi alternativi indicati dal progettista), che ha dunque la funzione di poter attribuire con certezza al singolo utente il costo relativo al suo consumo VOLONTARIO.

Affermare che esiste un consumo volontario implica necessariamente  l’esistenza di un CONSUMO INVOLONTARIO.

Qui interviene a sostegno la norma UNI 10200 specificamente richiamata nel dlgsl 102/14 e quindi anche essa assurta a criterio TECNICO LEGALE COGENTE.

La norma UNI 10200:2013 chiarisce l’esistenza di consumi volontari e di consumi involontari e li definisce sostanzialmente cosi:

•    consumi volontari, dovuti all’azione volontaria dell’utente mediante i dispositivi di termoregolazione (valvola termostatica o termostato), che vanno ripartiti in base alle indicazioni fornite dai dispositivi (letture) atti alla contabilizzazione del calore (contatori, ripartitori e altri sistemi);

•    consumi involontari, ovvero quelli indipendenti dall’azione dell’utente e cioè principalmente le dispersioni di calore della rete di distribuzione, che vanno ripartiti in base ai millesimi calcolati secondo il fabbisogno di energia termica utile (UNI 11300).

Per poter individuare la quota da ripartire a millesimi in passato determinata dall’assemblea) e i millesimi di riscaldamento sulla base del fabbisogno energetico (in passato rapportati invece alla potenza termica installata nella singola unità immobiliare) oggi occorre affidare ad un tecnico abilitato il calcolo del fabbisogno di energia termica utile ad ogni singola unità immobiliare (per consentire di ottenere una temperatura standard di 20°) che andrà a costituire il valore millesimale attribuibile a quell’appartamento, indipendentemente dalle superfici radianti installate.

Questi nuovi millesimi saranno il criterio di ripartizione:

a)  delle spese di gestione del servizio di riscaldamento;  

b)  di tutte le spese di manutenzione e conduzione ( terzo responsabile, estintori, lettura e ripartizione contabilizzatori,  ecc.); 

c)  di tutte le spese relative alla dispersione dell’energia totale consumata (una percentuale della spesa energetica totale - cioè combustibile + energia elettrica - calcolata dal Tecnico sul singolo impianto, ovvero differenza tra la spesa energetica totale e il consumo volontario di tutti gli utenti).

Poiché le sanzioni previste colpiscono anche coloro che non applichino tali criteri di ripartizione (ciò anche per gli impianti esistenti già dotati di contabilizzazione) è giocoforza provvedere immediatamente all’affidamento ad un tecnico abilitato del calcolo dei nuovi millesimi secondo la norma UNI 10200, da utilizzare fin dalla ripartizione dei costi della pregressa gestione 2014/15.

Per quanti invece non abbiano ancora la contabilizzazione, sorge l’esigenza di dare immediato impulso alla progettazione di tale impiantistica con il correlativo calcolo dei nuovi millesimi.

L’obbligo della progettazione anche per la sola applicazione del sistema di contabilizzazione e termoregolazione  scaturisce dall’art. 26 comma 3 della legge 10/91 che recita: “Gli edifici pubblici e privati, qualunque ne sia la destinazione d'uso, e gli impianti non di processo ad essi associati devono essere progettati e messi in opera in modo tale da contenere al massimo, in relazione al progresso della tecnica, i consumi di energia termica ed elettrica.” (l’impianto di riscaldamento è un impianto non di processo ndr).

La progettazione della termoregolazione e contabilizzazione deve essere affidata dunque ad un professionista abilitato, il quale dovrà mappare i radiatori esistenti  per consentire una corretta programmazione dei singoli contabilizzatori, ovvero certificare il coefficiente di conversione delle unità di consumo che saranno rilevate dai singoli ripartitori. Il progettista  dovrà altresì predisporre i millesimi per ripartire la quota dei consumi involontari.

Dopo l’applicazione del sistema di contabilizzazione e termoregolazione (anche in assenza di ulteriori opere di riqualificazione dell’impianto) la ditta esecutrice dovrà rilasciare apposita dichiarazione di conformità alla norma e al progetto.

Si badi bene che sia negli impianti di contabilizzazione esistenti che in quelli di nuova realizzazione, la dichiarazione di conformità e le mappature (o la valutazione dei coefficienti di conversione) sono essenziali alla corretta applicazione dei criteri di ripartizione dei costi e quindi ad evitare il rischio delle sanzioni.

Infatti per far sì che ciascuno paghi i costi esclusivi del proprio prelievo VOLONTARIO è fondamentale che tale prelievo volontario sia misurato in modo ineccepibile e corretto. Ciò è possibile soltanto applicando i ripartitori o i contatori secondo la regola dell’arte (certificata dalle Ditta installatrice)  e soltanto attraverso la conversione delle unità di consumo segnate da ogni ripartitore opportunamente programmato (secondo la norma UNI 10200:13 ) o secondo coefficienti adeguati al singolo radiatore (secondo la norma UNI 10200:15).

DISTACCO

Da tutta la dissertazione in merito alla corretta ripartizione e attribuzione dei costi; alla distinzione tra prelievo volontario e involontario; all’obbligatorietà delle norme volte al contenimento energetico sembrerebbe ovvio trarre le conclusioni che:

1) la realizzazione di impianti autonomi aggiuntiva rispetto all’impianto centralizzato (operantesi mediante distacco del singolo dall’impianto condominiale e realizzazione di autonomo impianto) è in linea di massima contraria al contenimento energetico;

2) nella gestione dell’impianto centralizzato esistono costi involontari, indipendenti dal fatto che alcuni possano non utilizzare il riscaldamento (o per non uso o per distacco) e quindi esiste sempre e comunque una spesa involontaria da ripartire sui singoli, ancorché con consumi volontari pari a zero;

3) il distacco dall’impianto centralizzato dovrebbe essere disincentivato o addirittura escluso (vedi anche riferimento al DPR 2/4/09 n.59 art. 4 comma 9 che assume che sia  preferibile mantenere negli edifici con almeno 4 unità immobiliari servite da impianto centralizzato, l’impianto esistente e che l’eventuale causa di forza maggiore a giustificazione della realizzazione di impianti autonomi debba essere  dichiarata nella relazione di cui all’art. 2) in quanto contrario al contenimento energetico.

Invece, l’art. 1118 c.c. riformato recita testualmente “il Condomino può distaccarsi dall’impianto centralizzato se dal suo distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso è tenuto a concorrere esclusivamente alle spese di manutenzione straordinaria e per la conservazione e messa a norma dell’impianto”.

Non si può non cogliere una palese contraddizione, solo parzialmente mitigata da quelle due condizioni che però – in prima battuta – nelle recentissime prime pronunce giurisprudenziali post riforma non sembrano essere tenute nel debito conto.

Infatti se sotto il profilo dello squilibrio al funzionamento potrebbe in teoria trovarsi un Tecnico che riesca a dimostrarne l’inesistenza (o almeno l’inesistenza in misura NOTEVOLE); è certo invece che – grazie  a quanto disposto dalla UNI 10200 – un consumo involontario esiste sempre e comunque.

Se quel consumo involontario non viene sostenuto per la sua quota parte millesimale dal condomino che si distacca è inevitabile che quel consumo ricada sugli altri.

Con ciò stesso facendo venir meno una delle due condizioni necessarie alla legittimità del preteso distacco.

Fonte: estratto da "Normativa condominio - La Normativa e il Condominio" ANACI Roma 

Decreto Milleproroghe: ecco le novità sulla proroga semestrale per l'installazione dei termoregolatori del calore ex D.Lgs. 102/2014.

 

Il Consiglio dei ministri del 29 dicembre 2016 (che dovrebbe essere pubblicato in gazzetta oggi, 30 dicembre) ha varato il cosiddetto decreto Milleproroghe, che prevede, tra gli altri provvedimenti, lo slittamento al 30 giugno 2017 del termine per ottemperare all’obbligo di installare sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore in tutti i condomini con riscaldamento centralizzato, a meno di motivati e certificati impedimenti tecnici.

Viene quindi prorogato di sei mesi il termine inizialmente fissato per la fine dell'anno 2016 dal Dlgs 102/2014, evitando così le sanzioni previste per chi non fosse riuscito a mettersi in regola nei tempi fissati

A chiedere la proroga della deadline – peraltro imposta dalla normativa europea - erano in molti, tra cui Confedilizia che nei giorni scorsi denunciava come in molti edifici non è stato ancora possibile adempiere a quanto imposto dalla legge “a causa del ritardo con cui è stato approvato il decreto che ha modificato le regole applicabili e dell’impossibilità materiale, per le imprese, di soddisfare le innumerevoli richieste.”

Se il termine non fosse stato spostato moltissimi proprietari di casa sarebbero andati incontro a sanzioni da 500 a 2.500 euro per ciascuna unità immobiliare.

I proprietari dei singoli appartamenti, ricordiamo, devono far installare due tipi di sistemi, secondo le norme del D.lgs. 141/2016 che, a sua volta, ha integrato il D.lgs. 102/2014, mentre la direttiva europea di riferimento è la 27/2012 sull’efficienza energetica.

Il primo sistema consiste nell'installazione dei contabilizzatori del calore, che permette di leggere i consumi individuali misurando - in modo diretto o indiretto secondo le diverse configurazioni tecniche applicabili - il calore fornito alle diverse abitazioni da un generatore centralizzato o da una rete di teleriscaldamento.

Il secondo sistema da installare, invece, è quello della termoregolazione: si tratta delle valvole termostatiche installate sui caloriferi, che consentono all’utente di variare la temperatura desiderata nei diversi ambienti interni.

Fonte: studio Sbarra e con contributi estratti da "Dossier Condominio" ANACI Roma

Il mandato dell'amministratore dura due anni e non è a tempo indeterminato. Lo ha deciso il Tribunale di Roma con decreto n. 1967/2016.

 

Il Tribunale di Roma ha elaborato una delle (ancora) poche pronunce in tema di durata del mandato dell'amministratore, prendendo una posizione basata sul dato testuale della norma.

Analizzando l'art.1129 c.c. ove il mandato, di durata annuale, "si intende rinnovato per eguale durata", il Tribunale di Roma ritiene che la soluzione ermeneutica preferibile, in quanto più attinente al dato letterale, sia quella secondo cui l'incarico dell'amministratore, una volta trascorso l'anno, si rinnovi automaticamente, senza cioè bisogno di una delibera di conferma, ma che tale rinnovo automatico operi una sola volta.

 A sostegno della propria posizione il Tribunale considera:

•l'espressa previsione tra le attribuzioni dell'assemblea del provvedimento di conferma (art.1135 co.1 n.1 c.c.),

•la clausola di predeterminazione della durata (annuale) dell'incarico che quindi è a termine,

•l'esigenza di salvaguardare il potere di autodeterminazione dell'assemblea.

Tali elementi unitariamente considerati portano così a disattendere l'altra opzione interpretativa, consistente nel ritenere che il rinnovo dell'incarico avvenga automaticamente anno per anno fino a che l'assemblea condominiale non adotti un provvedimento specifico sul punto (c.d. teoria del mandato sine die).

In altri termini il Tribunale di Roma, pur ammettendo che la lettera della norma non sia affatto chiara, smentisce la teoria che vorrebbe l'amministratore alla guida del condominio fino a che non intervenga la revoca assembleare ovvero non rassegni le proprie dimissioni.

di Carlo Patti

Fonte: di Avv. Carlo Patti in "Dossier Condominio" ANACI Roma

Quando il regolamento di condominio è obbligatorio.

 

Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento di condominio, il quale contenga le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione.

Ciascun condomino può prendere l'iniziativa per la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello esistente.

Il regolamento deve essere approvato dall'assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell'articolo 1136, ossia i due terzi del valore millesimale dell'intero edificio e i due terzi dei partecipanti all'assemblea del condominio, e dovrà trascritto nel registro indicato dall'ultimo comma dell'art. 1129.

Esso può essere impugnato a norma dell' art. 1107.

Le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli art. 1118, II° comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137.

L’obbligo previsto dall'articolo 1138 C.C. si appalesa allorché vi siano più di dieci condomini. Invece, in caso di un numero minore la stesura del regolamento di condominio è facoltativa da parte dei condomini, ma una volta predisposto, allo stesso regolamento verranno applicate le norme previste per quello obbligatorio e avrà la stessa efficacia.

Il regolamento di condominio è molto importante in quanto rappresenta la legge interna dei condomini, che disciplina la vita condominiale. All'interno del regolamento di condominio sono concordate e accettate le norme sui servizi e le parti comuni, le attività dell’amministratore e quelle dell’assemblea condominiale. Al regolamento di condominio si allegano anche le tabelle millesimali per la ripartizione delle spese.

Se da un lato il codice prevede delle norme sul condominio in generale, il regolamento di condominio può approfondire e disciplinare i problemi che ogni condominio incontra in relazione per esempio alla individuazione delle parti comuni o alla ripartizione delle spese. Più un regolamento è completo, più si eliminano i contrasti e le questioni nel condominio e tra amministratore e condomini. Ogni condomino può richiedere la stesura del regolamento di condominio o la revisione del regolamento di condominio esistente, ma il regolamento deve essere comunque approvato dall'assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell'art. 1136 C.C.

Si possono avere due diversi tipi di regolamento di condominio, in relazione al diverso tipo di maggioranze per l’approvazione:

1) REGOLAMENTO DI CONDOMINIO CONTRATTUALE.

E’ il regolamento di condominio predisposto dal costruttore, e viene di solito accettato e dunque approvato, facendo parte integrante del contratto di acquisto che con esso viene registrato presso il Pubblico Registro, dai condomini acquirenti delle singole unità immobiliari.

Esso può contenere a carico dei singoli condomini delle limitazioni della sfera giuridica privata, che un regolamento approvato a maggioranza dall'assemblea dei condomini, invece, non può contenere, come per esempio vietare di apporre insegne, targhe o qualunque altra attrezzatura similare sui muri perimetrali comuni dell'edificio.

Può anche fissare qualsiasi suddivisione delle spese comuni e potrà essere modificato solo con l'approvazione di tutti i condomini.

2) REGOLAMENTO DI CONDOMINIO ASSEMBLEARE.

E’ il regolamento di condominio concordato con la maggioranza qualificata dell’assemblea dei condomini, sia nel caso di formazione che nel caso di revisione.

Il contenuto del regolamento di condominio deve essere strutturato in maniera tale da comprendere nella prima parte l'identificazione delle parti comuni dell’edificio e le regole sull’utilizzo delle stesse, precisando eventualmente le relative limitazioni. Necessaria in ogni regolamento di condominio deve essere la disciplina relativa alla ripartizione delle spese tra i condomini, utile per eliminare contrasti all’interno del condominio.

Nel regolamento di condominio, poi, si possono determinare con precisione le attribuzioni dell’amministratore, prevedere o riservare talune attività all’assemblea o ad alcuni condomini (es. capiscala), ma non è mai possibile modificare le disposizioni inderogabili del codice civile.

Fonte: studio Sbarra e con contributi estratti da "Dossier Condominio" ANACI Roma